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Il mio è un approccio al mondo del “food”, da Economista Geografo con una specializzazione in Business e Commercio Internazionale dove per quanto mi riguarda le demografiche, il marketing, i mercati, l’emblema, il marchio, la marca, e il testimonial non solo non funzionano oggi, ma cosa più importante non hanno mai funzionato nelle strategie delle mie aziende e nella mia motivazione di essere imprenditore.
Perché?
Semplice.
Perché il marketing (sia quello del periodo edonistico Reaganiano e come quello appartenente al mondo del web 2000 di Clinton, quando uno dei fattori più importanti all’isteria dei mercati furono legate al mondo di internet del tutto possibile e pronto subito) si basa su tre aspetti:
Invece per me, l’imprenditore la persona, e l'Economo Geografo, il marketing è al contrario.
A mio avviso sui mercati dovrebbe vincere l'aspetto psicografico (attitudini; interessi; abitudini; opinioni; volontà di voler trovare un qualcosa di personale) e non quello demografico.
In definitiva non dovrebbe essere importante l'aspetto demografico ma piuttosto la comprensione del perché le persone acquistano per loro diretta volontà espressa come consumatori consapevoli.
Per “psicografico” intendo quindi che l’imprenditore dovrebbe tentare di capire le scelte che le persone fanno basate sul loro stile di vita e attitudini e voler capire cosa vogliono e cosa no, nel loro vissuto quotidiano e perché.
Noi produttori non possiamo pretendere di "spingere/forzare" nulla sulle persone.
Non possiamo pensare sempre ai mercati come a numeri, statistiche, ROI, ROE, e BE.
Spesso gli imprenditori nella teoria professano e tentano di fare e suggerire anche cose giuste, ma poi nella pratica non rispettano il lavoro delle persone e il sacrifico nel consumo delle persone.
Credo che non si può forzare nessuno, se non temporaneamente con le varie forme mal vissute del marketing, a vivere i mercati solo dal punto di vista superficiale.
La verità dell'esperienza viene sempre a galla come realmente vissuta in modo personale nel tempo.
Di fatto da sempre credo nel “no logo marketing” come idea in generis, e non credo nella derivazione geografica del prodotto e del marchio specie se questa geografica è intesa e strumentalizzata erroneamente e volutamente come un'altra forma di deviazioni del marketing.
Che cosa significa per il cliente, la persona oggi, l’idea del marketing posto-immagine, come per esempio nel caso del significato del Made in Italy (oggi il secondo marchio al mondo solo dopo la Coca Cola), se questo grandioso marchio, il Made in Italy, di fatto spesso produce prodotti scadenti? Siamo certi che tutto il Made in Italy produce secondo le pratiche del vissuto dei nostri percorsi storici qualitativi italiani e include la ricerca nella materia prima, delle risorse umane e della lavorazione?
Se anche nella nostra bellissima Italia, un marchio importante come il Made in Italy diventa un marchio vuoto, cosa può essere delle nostre esperienze organolettiche come vissute tutti i giorni?
Ha davvero vinto il peggiore marketing?
La globalizzazione dei mercati di massa ha prevalso socialmente?
Abbiamo accettato condizioni nel vissuto con i prodotti alimentari che nulla hanno a che fare con l’esperienza dell’ingerire questi prodotti?
A che serve un marchio, anche il Made in Italy, se e quando in alcuni casi è stato svuotato e se rimane solo “l’involucro esterno”?
A mio modesto parere a nulla!
Il mio pensiero è sempre stato quello di intendere il marketing come il capire i clienti come persone. Nel senso che se conosco il mio cliente, la persona, e se lo ascolto, sarà lui o lei a scegliere il prodotto perché lo vede come un prodotto per lui o lei importante, e non lo sceglierà o lo scarterà invece basandosi sul marketing percettivo, “la tribù sociale”, l’identità del capo branco, o il testimonial che lo/la induce a scegliere.
Ecco perché è importante mettere a confronto modelli diversi del vissuto con il caffè e del Food nella realtà come persone, clienti consapevoli.
Si necessità di capire che il caffè non è solo caffè, ma che invece è come l’acqua, l’olio, la pasta, il vino: vi sono delle differenze dettate dalla natura, dalla botanica e dalle scelte delle persone mentre modificano la natura.
Scegliendo cosa, come e quando acquistare da quello che la natura ci offre (caffè crudo o caffè verde) modifichiamo i nostri percorsi per continuare poi con le dovute lavorazioni a valle.
Prendiamo per esempio un grande manager globale del caffè: Howard Schultz di Starbucks.
Se lo mettiamo a confronto con il sottoscritto, piccolo imprenditore artigiano strutturato del caffè, si evincono due modelli diversi di imprenditori.
E’ importante capire che la storia del caffè potrebbe essere descritta dal punto di vista di questi grandi manager che hanno fatto conoscere il caffè alla massa nel mondo.
Ma anche lo stesso Schultz alla fine è partito negli anni 80’ come visione di cosa voleva fare con la sua azienda, dalla nostra bella Italia, da Milano.
Questa sua visione originale, tutta Italiana, rappresentata dai suoi primi punti vendita che si chiamavano “il Giornale” è stata negli anni ampiamente snaturata, cambiata nel nuovo concetto che ha portato nel mondo.
Dopo aver portato il suo brand nel mondo con grande successo, Schultz, da grande manager è ripartito dalla volontà, da una nuova recente visione del voler fare quello che facciamo noi piccoli artigiani del caffè di qualità da anni.
Di fatto Schultz si è appena dimesso da Starbucks per entrare nel mondo dei caffè speciali e comunica di voler dare concretezza in tazza piuttosto che marketing...
Ora, sono certo altri grandi industriali seguiranno le sue comunicazioni in forma.
Tutto bene. Tutto bello.
Questo però solo SE il tutto sarà vissuto come un'esperienza organolettica che nella realtà sarà appagante e comunque proposta in modo socialmente democratico alle persone nei mercati e non solo “ai mercati economici”.
Sarebbe a mio avviso errato per esempio consegnare una vera e concreta realtà di qualità come percepita dal consumatore consapevole, ma vissuta però nella realtà e nei mercati solo da un una parte elitaria, solo per alcuni, in pratica solo per quelli che possono spendere 6-12 Euro per ogni tazza di caffè!
Bisogna sempre discernere tra il marketing sano e il marketing malsano.
Capire la differenza tra la demografica e la psicografica.
A mio avviso la storia dei mercati economici non può essere solo edonismo reaganiano e/o il mondo del "tutto facile e tutto pronto" del web 2000.
Per quanto mi riguarda, da sempre prende precedenza un’economia geografica del vissuto antropologico dei mercati veri, come vissuti dalle persone e dal loro godimento personale.
Ogni imprenditore ha diversi modi di vivere il mercati.
Il mondo di Schultz, o di altri rinomati imprenditori del caffè nel mondo, e quello del sottoscritto, come piccolo artigiano, spesso si sono incrociati alle Fiere, nei mercati, sul campo.
Alla fine questi due diversi percorsi, anche se incrociabili e apparentemente simili, sono così diversi.
La differenza, nella diversità, la fa non solo la passione per il prodotto e/o il business, ma al contrario la passione per le persone e la volontà di ricevere una gratificazione personale, e non solo economica
Queste emozioni, questi valori, quest'etica non possono essere vendute o acquistate.
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